34. Fuga dei cervelli o emigrazione. Intervista a Lorenzo Beltrame, sociologo
– Fred Cavermed –
Originario di Rovereto, Lorenzo Beltrame è sociologo della scienza presso l’University of Exeter, nel Regno Unito. Titolare di un dottorato presso l’Università di Trento, ha pubblicato alcuni articoli sul tema della mobilità internazionale dei ricercatori. Fred Cavermed lo ha intervistato per avere il suo punto di vista sul tema della « fuga dei cervelli » e ha gentilmente risposto alle nostre domande. Per questo lo ringraziamo.
Cosa intendi per « fuga dei cervelli » ? E in cosa la “fuga dei cervelli” si distingue dall’« emigrazione » ?
L’espressione fuga dei cervelli è la traduzione dell’inglese Brain Drain, coniata dalla Royal Society all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando scienziati britannici lasciavano il proprio paese per trasferirsi negli USA dove la ricerca scientifica era meglio finanziata. L’espressione però è utilizzata in maniera molto ampia e non sempre univoca – a volte si limita ad individuare le migrazioni di scienziati e ricercatori, a volte viene estesa ai lavoratori qualificati – rendendo la delimitazione e la quantificazione del fenomeno complicata. Altro problema riguarda le motivazioni della mobilità, per venire al secondo punto. Con fuga dei cervelli si tende a preferire un fenomeno di spostamento derivante dalla ricerca di condizioni migliori – in termini di possibilità di ricerca e/o di carriera – mentre con emigrazione si pensa ad uno spostamento dettato da necessità di sopravvivenza. Nella realtà, la fuga dei cervelli è di fatto emigrazione.
Le tue ricerche si sono concentrate sulla mobilità dei lavoratori altamente qualificati. Che definizione ne dai?
La definizione di lavoratori altamente qualificati è standardizzata per esigenze di ricerca. Si considerano lavoratori altamente qualificati coloro che, in possesso di una formazione universitaria ottenuta nel paese di origine, si spostano a lavorare in un paese diverso. Ovviamente questa definizione non tiene in considerazione il fenomeno correlato del brain waste (o spreco di cervelli), cioè il fatto che nel paese di destinazione gli immigrati qualificati possono svolgere lavori per i quali sono sovra-qualificati. Ad ogni modo, con mobilità dei lavoratori altamente qualificati si cerca di non delimitare il campo alla semplice migrazione di scienziati e/o ricercatori, per considerare altre professionalità qualificate (ingegneri, medici, architetti, infermieri, ecc.).
Secondo te, dopo la crisi del 2008, l’emigrazione italiana continua ad essere una fuga dei cervelli oppure sta diventando un’emigrazione economica che riguarda anche lavoratori meno qualificati?
Purtroppo i dati disponibili sono datati, perché i grandi uffici statistici non sempre li producono in tempo reale. In generale comunque l’emigrazione dall’Italia ha sempre avuto due binari: quella qualificata e quella meno qualificata. La crisi economica ha incrementato entrambe le migrazioni. Probabilmente, ma non esistono dati certi per corroborare questo punto, nel campo delle migrazioni altamente qualificate si è avuta una trasformazione. Ovvero, la quota di coloro che emigravano principalmente per soddisfare ambizioni di prestigio e carriera si potrebbe essere ridotta a favore di coloro che emigrano per mancanza di lavoro. Nel campo della ricerca scientifica, ad esempio, non sono più solo coloro che vogliono mettersi alla prova in ambienti internazionali più competitivi, ma dottori di ricerca che in Italia sarebbero disoccupati. In questo senso, dunque, le migrazioni altamente qualificate assumono il carattere delle tradizionali migrazioni economiche.
La fuga dei cervelli non è un fenomeno soltanto italiano. Ma quali sono le specifictà del brain drain italiano rispetto a quello di altri paesi europei ?
Dipende da paese a paese. Tendenzialmente nei paesi industrializzati si parla di brain circulation, ovvero le uscite sono compensate dall’arrivo di stranieri altamente qualificati. L’Italia ha, come principale problema, la scarsa capacità di attrazione di questo tipo di lavoratori. Ciò è dovuto al fatto che il sistema universitario italiano è tendenzialmente impermeabile agli stranieri e che l’industria italiana investe poco in ricerca e ha poca richiesta di professionalità qualificate. Queste caratteristiche strutturali sono alla base anche della fuga dei cervelli italiana, che, come detto prima, assume sempre più i contorni di una valvola di sfogo alla disoccupazione. Ciò allinea l’Italia con i paesi meno industrializzati, dove l’emigrazione non è compensata dall’immigrazione.
I governi italiani hanno realizzato dei programmi per tentare di far rientrare i « cervelli » ? Se sì, hanno funzionato ?
Sono stati realizzati alcuni programmi, ma hanno dato esiti deludenti. Questi programmi sono basati su una serie di incentivi per chi rientra e sono focalizzati principalmente, se non esclusivamente, nel settore della ricerca universitaria. Il numero dei rientri è nell’ordine delle centinaia a fronte di emigrati che sono stimabili in migliaia (non abbiamo dati precisi sui ricercatori italiani all’estero). Spesso si tratta di persone a fine carriera che utilizzano tali programmi per tornare in patria, e spesso chi rientra, finito il periodo degli incentivi, decide di ripartire alla ricerca di migliori condizioni o di ambienti più stimolanti. Ma il fallimento non è da imputare a qualche debolezza italiana. Programmi simili sono stati tentati in diversi paesi e hanno dato esisti analoghi. Di fatto, questi programmi concepiscono la fuga dei cervelli come un problema in sé, e non come esito di problemi strutturali. Non agendo sulle cause strutturali, non riescono a risolvere il problema né ad alleviarlo, avendo quindi effetti del tutto irrisori.
Tu stesso sei un ricercatore italiano che vive all’estero. Come vivi questa condizione ?
Da un lato iniziare esperienze lavorative, e di ricerca, in altri ambienti risulta indubbiamente stimolante. Ti dà la possibilità di confrontarti con altre persone, allargare orizzonti ed opportunità. Ti permette di avere una visione diversa sui mondi della ricerca. Dall’altro lato, ogni spostamento significa reinventarsi la propria vita. Significa che le relazioni e le reti sociali che ti eri costruito cambiano e devi ripartire da zero o quasi. Questo si complica quando ti muovi con una famiglia, la quale ha un pesante prezzo da pagare – penso soprattutto a mio figlio che ha cambiato 5 scuole in tre anni e non ha potuto consolidare amicizie.
Fred Cavermed è uno pseudonimo nato a fine anni 2000. È un redattore di Quattrocentoquattro, dove si occupa soprattutto del focus Solo Andata. Di tanto in tanto scrive qualche appunto sul suo blog personale Kitzsch Kebab. Chi usa questo pseudonimo è nato nel 1988 in Molise, ha studiato lettere a Roma ed a Aix-en-Provence. Oggi vive a Marsiglia, dove insegna italiano nelle scuole pubbliche.